sabato 30 agosto 2008

Beatrice Regina della Scala





Beatrice Regina della Scala (Sant'Angelo Lodigiano, 1333 – Milano, 18 giugno 1384) fu la primogenita di Mastino II della Scala (1308-1351), signore di Verona, Vicenza, Padova, Parma, Brescia e Lucca, e di Taddea di Carrara.
Ebbe tre fratelli, Cangrande II (1332-1359), Cansignorio (1340-1375) e Paolo Alboino (1343-1375), che furono tutti signori di Verona e Vicenza a partire dal 1351 fino al 1375.
Il 27 settembre 1350, lei sposò, come previsto nel 1345, Bernabò Visconti, allora collaboratore e successore designato, insieme a Matteo e Galeazzo (due vicari imperiali signori di Milano), di Giovanni Visconti (1290-1354). Visse da allora a Milano nel palazzo di San Giovanni in Conca, mise al mondo ben quindici figli, cinque maschi e dieci femmine:
Taddea (Milano, 1351 – Monaco di Baviera, 28 settembre 1381) sposò nel 1364 il duca Stefano III di Baviera-Ingolstadt
Verde (Milano, 13521414) sposò nel 1365 Leopoldo III d'Asburgo
Marco(novembre 1353 – Milano, 3 gennaio 1382) Signore di Parma, nel 1367 sposò Isabella di Baviera-Landshut
Ludovico (13557 marzo 1404), Governatore e Signore di Parma e Governatore di Lodi sposò Violante Visconti
Valentina (Milano, 1357 – estate 1393), sposò nel 1378 Pietro II, sovrano di Cipro
Rodolfo (13581389), signore di Pavia
Carlo (13591403), Signore di Parma, sposò nel 1382 Beatrice d'Armagnac, figlia del Conte d'Armagnac
Antonia (Milano, 1360 – Stoccarda 26 marzo 1405), sposò nel 1380 Eberhard III di Württemberg
Caterina (Milano, 1362 – Monza, 17 ottobre 1404), sposò nel 1380 Gian Galeazzo Visconti Duca di Milano;
Agnese (1363, dicembre 1391), sposò nel 1380 Francesco I Gonzaga Signore di Mantova, morta decapitata;
Maddalena (Milano, 1366 – Burghausen, 17 luglio 1404), sposò nel 1381 Federico II di Baviera-Landshut
Gianmastino (13701405), Signore di Bergamo e di Ghiara d'Adda, sposò nel 1385 Cleofe della Scala, figlia di Antonio I Signore di Verona
Lucia (ca. 1372Inghilterra, 14 aprile 1424), sposò nel 1407 Edmund Holand, 4° Duca di Kent;
Elisabetta (Milano, ca. 1374 – Monaco di Baviera, 2 febbraio 1432), sposò nel 1395 Ernesto di Baviera-Monaco
Anglesia (ca. 1377 – 12 ottobre 1439) sposò intorno al 1400 Giovanni II, sovrano di Cipro.
Regina era un'abile politica, tanto che governò grandi feudi e trattò prestiti con il marito, in cambio del possesso di alcune terre nella zona del lago di Garda. Condusse addirittura truppe in battaglia contro alcuni parenti.
Morì nel 1384 e fu sepolta a Milano nella cripta di San Giovanni in Conca accanto al marito. La più importante donna scaligera fece erigere a Milano la Chiesa di Santa Maria della Scala, dalla quale avrebbe poi preso il nome il Teatro alla Scala.


Tratto da Wikipedia

Chiesa di Santa Maria della Scala




mercoledì 6 febbraio 2008

Il periodo storico e i cambiamenti tra l'800 e il 900

Mio nonno nasce a Cinquefrondi in provincia di Reggio Calabria il 31 dicembre del 1869.
Tra il finire del 1800 ed i primi decenni del 1900, prende avvio [a Cinquefrondi] la costruzione delle grandi opere pubbliche: dall’imponente complesso della scuola elementare “Francesco Della Scala” al Palazzo degli Uffici Pubblici, dalla Regia Pretura cittadina, oggi sede della Mediateca comunale, alle Carceri Giudiziarie, dal Campo Sportivo alla linea ferroviaria che tutt’oggi collega Cinquefrondi agli altri paesi della piana, dalla Villa comunale alle grandi opere per l’incalanamento di corsi d’acqua sotterranei e il rinnovo del vecchio sistema fognario, fino alla costruzione di nuove intere vie, quali il Viale Rimembranze e la Via Regina Elena.
Cinquefrondi ha dato i natali ad importanti personalità che si sono mirabilmente distinte nei vari campi dello scibile umano. Tra questi vanno sicuramente ricordati, in campo religioso: Fra Nicolò da Cinquefrondi, laico morto nel 1570 in odore di santità, Fra Giovanni da Cinquefrondi, il gesuita Salvatore Verrone, studioso di vulcanologia ed autore di una Istoria del Monte Vesuvio del 1631, il teologo e religioso Bernardo Condò, il teologo e filosofo Francesco Saverio Panetta, autore di una raccolta de sermoni e panegirici intitolata “La montaga mistica” (1859), l’Arciprete Francesco Maria Ascone. In ambito musicale vanno ricordati, fra gli altri: D. Filippo Zerbi, il cappellano Luigi Ferrari ed il Maestro Carlo Creazzo. Tra la classe dei medici: il luminare Vincenzo Mammola. Tra i personaggi politici: Luigi dei Marchesi Aiossa, ministro durante il regno di Ferdinando II di Borbone ed il podestà Francesco Della Scala. Tra i militari il valoroso Francesco Pepe. Tra la classe dei letterati: il latinista D. Giacomo Ferrari, gesuita, ed il poeta e storico Pasquale Creazzo.

Testimonianze in rete

Fra i pubblici amministratori ricordiamo Francesco della Scala, .... che fu uno dei pochi della provincia ad attivarsi per fare ottenere al proprio paese tutti i provvedimenti di favori stabiliti dalla legge speciale per i luoghi colpiti da terremoto nel 1908. Il paese, grazie a lui, si è arricchito di vari edifici pubblici: l’edificio scolastico che porta il suo nome, il municipio, la villa comunale, l’asilo infantile, la caserma dei Carabinieri (ora sede della Comunità Montana), la pretura (ora sede della Mediateca Comunale), la torre littoria con l’orologio, l’ingrandimento del cimitero e molte sono state le opere di costruzione di strade e di acquedotti e di fognature.

dal sito della Scuola Secondaria di Primo grado di Cinquefrondi

La Scuola Elementare Statale "Francesco della Scala"


Questa immagine mi è stata inviata dalla Mediateca di Cinquefrondi, che qui ringrazio .
L'edificio scolastico, come si nota, è tutto ornato da bandiere e ghirlande. Davanti all'entrata è stato eretto un palco. E' molto probabile che la foto sia stata fatta in occasione dell'inaugurazione della scuola.







Cerco altre foto d'epoca e materiale documentario sulla costruzione della scuola.










In Memoria del Comm. Francesco della Scala

Riporto integralmente quanto scritto nel volume intitolato


In memoria del
Comm. FRANCESCO DELLA SCALA



RICORDANDO FRANCESCO DELLA SCALA

È caduto - nel vigore degli anni - sulla breccia, come è destino che cada un combattente di razza.
Perché quest'uomo - la cui vita fu tutta una missione di amore, di abnegazione, di sacri fizio per la sua terra natia – quest’uomo dalla tempra di autentico lottatore, in oltre 40 anni di vita pubblica non conobbe stasi, non conobbe riposi, non conobbe sconfitte - pur battagliando ora in campo politico, ora in campo amministrativo, sempre per la rigenerazione e ascensione edilizia, igienica, morale della sua cittadina natia e del relativo mandamento.
Credo sia caso unico, più che raro, la vita pubblica di Francesco Della Scala - la vita, cioè, di un uomo così strettamente, indissolubilmente legata alla vita della propria terra - come la vita del Nostro è legata a quella della sua Cinquefrondi; - credo sia caso più che raro unico che un uomo - in oltre 40 anni di lotte e che lotte! - non conosca l'onta od il disappunto di una sconfitta, ma sempre la gioia e l'orgoglio della vittoria.
Perchè Francesco Della Scala, eletto a 22 anni Consigliere Comunale della sua Cinquefrondi, lascia il seggio di pubblico amministratore quando la morte lo abbatte - dopo di aver percorso tutte le tappe della vita amministrativa: Assessore Comunale, Consigliere Provinciale, Deputato Provinciale, primo Podestà di Cinquefrondi.
E non solo percorse le tappe, ma mantenne le posizioni conquista­te a traverso lotte nella nostra provincia che rimasero celebri.
Assessore comunale delegato sin dal 1895 - (non poteva rivestire la carica di sindaco per la incompatibilità legale esistente allora tra questa carica e quella di Deputato provinciale) cessa dalla carica con abolizione dei Consigli Comunali, per assurgere però al seggio di Podestà; Consigliere provinciale e poscia Deputato provinciale, rimane in carica sino a che il Governo Fascista non abolisce questa amministrazione istituendo i Rettorati Provinciali.
Ma le cariche non contano nella vita di un uomo quando sono soltanto mera lustra, quando servono soltanto per solleticare le vanità personali! - Se, viceversa, si accettano per altruismo, non per egoismo -se costituiscono un ònere non un onore - se si usano per un bene col­lettivo non per un bene singolo - se si conquistano per un alto ideale civico non per tornaconto personale - allora esse più che contare nella vita individuale, sono parte integrante della vita stessa - sono tutta la vita.
Come fu appunto la vita di Francesco Della Scala!
Nel turbinoso periodo eletoralistico che va dal 1891 al 1922 - turbinoso periodo nel quale le amministrazioni comunali della nostra Calabria - volenti o nolenti - correvano l' alea dell' esito delle lotte po­litiche - in quel turbinoso periodo, che molti di noi ricordiamo per averlo vissuto più che da spettatori da attori - soltanto un uomo, Fran­cesco Della Scala, e con lui il partito amministrativo locale che a lui faceva capo
............................... non mutò aspetto,
nè mosse collo, nè piegò sua costa,

vittorioso o vinto il candidato politico che sosteneva.

Dove riposto il segreto di tale potenza? Nel fascino che l'uomo esercitava su quanti vivevano la sua vita quotidiana e su quelli che lo avvicinavano sia pur per giorni o per istanti ; - nella sua multiforme ed instancabile attività di pubblico amministratore a beneficio del sin­golo e della collettività.
Aveva egli un suo fascino irresistibile. Robusto, aitante della per­sona, dal profilo energico, profondo scrutatore lo sguardo, l' immancabile sigaretta fra le labbra, le mani nelle tasche - sua posa abituale - era tutto per gli amici, per aiutare o favorire i quali - nelle varie contin­genze - tristi o liete della loro vita - non si risparmiava fatiche, non conosceva ostacoli, non si concedeva riposi.

Chiedeva, pregava, comandava, implorava - mentre non ha mai chiesto, pregiato, comandato, implorato per se! - Ed otteneva, e come! -Tutti perciò avevano la intima, la ferma convinzione della sua illimitata potenza.

Intima, tenace convinzione che diveniva granitica nel periodo delle lotte elettorali, sino al giorno della votazione, e che suscitava urli di entusiasmo quando le urne, immancabilmente, consacravano la vittoria strepitosa del suo partito, che in fondo non era che vittoria sua personale.

Bisognava vederlo, durante il periodo di maggior combattimento, bisognava allora essergli a fianco: sereno, calmo, sorridente - la certezza assoluta del trionfo gli si leggeva negli occhi e sul viso...
Ricordo una immane, violenta lotta amministrativa dell'immediato anteguerra - che seguiva una non meno immane e violenta lotta politica nella quale il candidato sostenuto dal partito Della Scala era rimasto soccombente; - la prima lotta che si affrontava col suffragio universale. Tutti i più contrastanti partiti e le più contrastanti fazioni della cittadina di Cinquefrondi e del mandamento tutti si erano coalizzati contro Della Scala. - I comizi si succedevano ai comizi, le dimostrazioni alle dimostrazioni. Sembrava che un'ondata enorme di reazione si sollevasse per sommergere addirittura, più che il partito, uomo ; l' uomo che da lustri dominavano incrollabile, - ben tetragono ai colpi di ventura... ‑

Quasi unanime era la certezza che il Nostro dovesse fatalmente essere sconfitto. Anche i più intimi che gli stavano a lato più che trepidanti erano certi della disfatta. Pure lottavano, e da leoni, sorretti dalla fiducia nel capo, incitati dal suo esempio. Perchè egli aveva la certezza della vittoria - e la serenità del suo viso e del suo animo esercitava un fascino tale da non permettere che davanti a lui si manifestasse il più il più piccolo dubbio che potesse, sia pur lievemente, appannare quella certezza. -

La notte di sabato - precedente la giornata della votazione - all'una, con un gruppo dei suoi più fidi, io uscivo dal suo palazzo. Cinquefrondi vegliava : per le vie e nelle piazze gruppi di gente in grandissima maggioranza avversari, tanto da aversi completa la suggestione che la lotta fosse perduta per il nostro amico.

Lontani dal suo sguardo e dalla sua parola - fuori - in quell’ambiente così saturo di lotta - il dubbio rigermogliò nell’animo nostro, divenne quasi certezza. Ci guardammo in faccia silenziosi, sgomenti. Ed uno di noi - il più vicino a lui ed il più autorevole fra i suoi - mormorò come se parlasse a se stesso: « È du­ra... Temo che don Ciccia si sbagli... Sarebbe la prima volta... Ma... »
Tentennammo il capo, ci stringemmo le mani e ci lasciammo....
Quella notte da noi si passò insonne. ‑

La domenica una battaglia immane su tutta la linea. Alle 23,30 le urne avevano dato il loro responso : Francesco Della Scala conquistava, con enorme maggioranza, i due seggi al Consiglio Provinciale - ed i posti di maggioranza e minoranza al Consiglio comunale di Cinquefrondi.

No era per gli avversari una sconfitta, ma annientamento definitivo.


Il lunedì seguente Cinquefrondi riprendeva il suo ritmo normale di vita, e per le sue vie e per le sue piazze Francesco Della Scala immancabile sigaretta fra le labbra, le mani nelle tasche - passeggiava sereno, sorridente come se dell' immane lotta di poche ore prima egli non fosse stato attore principale, il condottiero, ma appena un indifferente spettatore. - E riprendeva la vita normale di pubblico amministratore, di non altro preoccupato che di centuplicare la sua feconda attività a beneficio del suo paese.

Sempre così. Sembrava che dicesse (con le parole di Marco Aure­lio):«Io attendo al mio dovere. Gli altri oggetti non mi distraggono»

Il suo dovere era l’amore verso la sua città natia...

Perchè, come bene scrisse Bettino Ricasoli: « La devozione verso la patria non è un affetto ; ma è qualche cosa di più alto, di più as­soluto... è un dovere! »


E questo dovere Francesco Della Scala sentiva in sommo grado appunto come conseguenza logica e psicologica del suo smisurato affet­to verso la sua Cinquefrondi.


Oh, la potenza di questo affetto! di quali miracoli non fu capace! Quaranta anni di lotte, di sacrifizi, di trionfi - senza concedersi tregua o riposi.
Nella sua vita egli non ebbe, si può affermare con coscienza, altra missione se non quella del risanamento, della trasformazione, della ri­generazione del suo luogo natio.

Era un borgo e ne fece una cittadina ridente sotto tutti gli aspet­ti - ammirata ed invidiata da tutta la provincia. Non vi fu legge e­messa a favore della nostra Calabria che egli non abbia sfruttata -non vi fu provvedimento al quale egli non abbia attinto a beneficio del suo paese. Sempre primo in tutto.

Mentre ultimava un edificio pubblico un altro iniziava - mentre terminava di riparare una via, un'altra ne apriva - mentre una piazza veniva trasformandosi, una villa sorgeva. Dal palazzo comunale all'edificio scolastico - dalle case popolari all'asilo infantile - dagli uffici della pretura al carcere giudiziarío - dalle fognature all' acquedotto -dai nuovi viali alle aiuole ecc... tutto è dovuto alla sua feconda instan­cabile attività di Cittadino e di pubblico Amministratore. E si possono forse dimenticare le lotte sostenute per lustri e lustri perchè un tronco ferroviario abbracciasse i paesi della piana nostra da Gioia Tauro a Cinquefrondi?

Il risanamento, la trasformazione, l’abbellimento, la rigenerazione di Cinquefrondi è indissolubilmente legata alla vita di Francesco Della Scala - e gli ultimi giorni, proprio gli ultimi giorni della vita morta­le di questo Uomo non furono se non il coronamento, il degno corona­mento di tutta una nobilissima esistenza spesa a pro' della sua citta­dina. Perché minato, incurvato dal male che doveva troncare la ancor giovine esistenza - prima di entrare in una clinica chirurgica di Roma donde fatalmente non doveva che uscire cadavere - si fece accompa­gnare, sorreggere per trascinarsi nelle aule dei diversi Ministeri per otte­nere, come ottenne, l' ultimo grandioso mutuo per il nuovo acquedotto che dovrà animare le nuove fontane della sua Cinquefrondi.

E dal letto di dolore e di morte dettò il telegramma (1) che an­nunziava ai suoi concittadini la nuova 'vittoria che coronava il suo ul­timo atto di fede e di amore verso la terra che da lì a pochi giorni lo avrebbe ricevuto freddo cadavere! -

(1) Ecco il telegramma: a Vice Podestà - Cinquefrondi - Lietissimo comuni­care odierno finanziamento progetto nuovo acquedotto cui lavori oltre milione Mi­nistero appalterà subito. Gradisca paese mio ultimo omaggio telegrafando ringrazia­menti Comm. Romano - Saluti.
Della Scala


L' istessa feconda ed instancabile attività egli portò nell' amministra­zione della Provincia durante i non pochi lustri in cui ne ricoprì le cariche di Consigliere Provinciale e di Deputato Provinciale. Ed il compianto Pre­sidente della Deputazione Provinciale, Barone Pasquale Reytani, aveva tale e tanto fiducia in lui, lo teneva in tale e tanto conto da affidargli i più delicati e difficili incarichi. - Ed in diversi congressi provinciali, a Torino come a Palermo - a Milano come a Roma - Francesco Della Scala fu il delegato per la provincia nostra.


Ma chi può seguire passo per passo la vita pubblica di Francesco Della Scala? - Improba ed ardua impresa che nemmeno tento.


Certo é che per oltre otto lustri, questo uomo fu di esempio e di monito non solo agli amministratori dei comuni del nostro ex circonda­rio, ma ancora a quelli di tutta la regione.
E non solo nel governo e nell'amministrazione della pubblica cosa ma ancora in rapporto agli eventi o lieti o tristi della sua cittadina o della nazione egli fu sempre in prima linea - nobilissimo esempio di al­truismo, di abnegazione, di sacrificio.


Il terremoto del 1908 lo trova sulla breccia a rincorare, ad aiu­tare, a salvare, primo fra i primi, rischiando anche la vita, tanto che una medaglia di bronzo premia questa sua nobile fatica.
Scoppia una epidemia vajolosa - ed egli è sempre in linea per i­solare la epidemia, per debellarla - e quando teme che i suoi sforzi pos­sano essere vani, fa venire in suo aiuto una Sezione della benemerita Croce Rossa - ed il male è subito debellata.


Quando la spagnuola infierisce mietendo vittime - egli è sempre in giro, attivo ed instancabile, per i tuguri e per le case, a soccorrere ad incorare - e perchè i poveri possano avere un aiuto immediato e profi­cuo, istituisce, fra l' altro, a spese del comune una farmacia.


E quando nel 1917 - per il disastro di Caporetto - i profughi dilagano nelle nostre contrade per sfuggire la barbarie degli invasori, Cinquefrondi - per volere di Della Scala - è fra le prime cittadine della nostra Provincia che accoglie a braccia aperte i fratelli sventurati - ed in numero rivelantissimo in rapporto agli altri comuni - aprendo loro, con le case, il cuore dei suoi abitanti.


Francesco Della Scala! - Un nome che squilla potente in questo ul­timo cinquantennio della storia civile di Cinquefrondi - un nome che é scolpito in lettere d' oro su tutti gli edifici pubblici, su tutte le vie, su tutte le piazze di Cinquefrondi.
Fu combattuto Francesco Della Scala - come è umano che lo sia chi della vita - di tutta la vita - fa una missione di lotta ; - ma non fu mai vinto.
Fu avversato, fu ostacolato sulla via che percorreva con lo sguar­do fisso all'unica meta: la sempre maggiore elevazione del suo paese; ma le avversità, gli ostacoli egli frantumava senza deviare, affrontan­doli! - Fu invidiato e fu ammirato - fu odiato ma fu adorato.


E sulle lotte e sui trionfi - e sulle invidie e sulle ammirazioni -e sugli odii e sugli amori, Egli, ben saldo, la fronte alta, lo sguardo sereno, il volto illuminato dal sorriso - stette sempre

come torre ferma che non crolla

giammai la cima per soffiar di venti.


E così lo vedremo sempre - con gli occhi dell'animo - nel ricordo che mai si velerà se è vero - come è verissimo - che la riconoscenza e amore sono tutt' altro che vane parvenze.


E così i suoi concittadini ed i loro più lontani nepoti lo vedran­no e nel presente e nell' avvenire - perchè la Cinquefrondi di oggi -così nuova, così ridente, così rigenerata - non fu che dissodata dalla forza, abbellita dal sorriso, plasmata dall' amore dell'indimenticabile suo figlio Francesco Della Scala...


aprile 1934 - XII.

Arturo Borgese

La Torre Civica di Cinquefrondi


la cronistoria degli avvenimenti che hanno interessato la Torre dal progetto ad oggi. (fonte Archivio Storico Comunale)

Nel 1930 il Podestà del tempo, Comm. FRANCESCO DELLA SCALA, diede incarico ad un Ingegnere di Messina, tale Antonino Galatà, di redigere un progetto per la "costruzione della torre dell'orologio". Lo stesso consegnava la prima stesura in data 20 agosto 1930 ed il progetto veniva inviato per l'approvazione all'Ufficio del Genio Civile di Reggio Calabria.Questo il prospetto del primo progetto.

Il primo disegno della Torre Civica



Il genio Civile di Reggio Calabria, servizio terrremoto, restituiva l'incartamento il 18 ottobre 1930 indicando alcune variazioni da apportare, e cioè l'abolizione del tetto e delle colonnine a sostegno dello stesso. Anche l'importo dei lavori, inizialmente previsto in Lire 74.000,00, veniva ridotto a Lire 67.000,00, tutti finanziabili con i fondi delle addizionali della ricostruzione del terremoto del 1908.
In data 16 marzo 1931 il progetto modificato viene reinviato alla Prefettura ed il 30 maggio 1931 viene approvato dal Corpo Reale del Genio Civile, Ufficio Speciale per i servizi tecnici del terremoto (F.to ing. V. Pugliesi).
Segue l'invio al Consiglio Superiore dei LL.PP. che lo approva nella seduta del 27/7/1931 con delibera 1864.Il 16/1/1932 il Podestà Della Scala approva il progetto definitivo e richiede il finanziamento con delibera n. 2.
Il 22/2/1932 il progetto viene approvato dall'ispettore superiore del Genio Civile.
La conferma del finanziamento avviene in data 21/6/1932 ed il Podestà indice l'appalt
o con delibera 32 del 27/8/1932. Seguono due pubblicazi
oni sul F.A.L. (a causa di una piccola irregolarità nella prima).
La gara di appalto viene espletata l'8/10/1932 e rimane aggiudicataria la ditta Comm. Raffaele Misiti da Cinquefrondi, altri partecipanti Giordano Pietro, Giordano Giuseppe, Cosoleto Carmelo.
Si apre però un contenzioso con la ditta aggiudicataria e dopo un consistente scambio di missive tra il Podestà, la ditta ed il Prefetto si addiviene alla cessione dei lavori alla ditta COSOLETO CARMELO DA BAGNARA, la quale in data 18/2/1933 stipula il contratto.Intanto in paese si commenta il progetto e l'illustre Pasquale Creazzo invia una lettera
al Podestà con alcune osservazioni relative all'ubicazione della torre, suggerendone la costruzione non nella piazza ma alla fine del Corso. Segue una riunione indetta dal Podestà e che vede la partecipazione dell'Ing. Galatà, di Creazzo e delle persone più in vista del paese.
In data 24/4/1933 perviene una richiesta da parte del Segretario Federale del Fascio per l'apposizione di due grandi Fasci sulla base della torre e di una campana da utilizzarsi per le manifestazioni.
L' 1/6/1933 i lavori vengono consegnati, termine per la realizzazione otto mesi.




dal sito del Comune di Cinquefrondi


prospetto definitivo

I lavori vengono ultimati il 30/4/1934 (concessa una proroga) e collaudati ad opera dell'Ing. Venza Cav. Vincenzo del Genio Civile di Messina.
L'opera alla fine costa Lire 74.806,36 e lo stato finale è approvato con delibera n. 60 del 28/11/1936 del Podestà Cav. Francesco Pasquale (Della Scala nel frattempo era prematuramente scomparso).
All'ultimazione dei lavori è seguita una seconda perizia di variante nella quale si intendeva procedere al rifacimento della scalinata adiacente alla torre e di accesso alla Chiesa. Tale variante non fu finanziata per assenza di fondi da parte del Genio Civile. Così appariva la torre all'atto dell'ultimazione dei lavori (immagine da una cartolina viaggiata nel 1938).




La comunicazione riguardante il nuovo acquedotto





Lettera di Gabriele d'Annunzio al Marchese Arturo della Scala


Questo sonetto, composto da Gabriele d'Annunzio, è scritto a mio zio Arturo, figlio di Francesco, che visse per molto tempo a Nettuno (Roma).
"il fratel tuo tristo e importuno" che il d'Annunzio menziona è mio padre.
I due fratelli, infatti, avevano un modo diverso di concepire la vita.
Mio padre che si dedicava al lavoro di giornalista e avvocato, viene quindi dipinto come "tristo e importuno" perchè questo suo modo di vivere è visto dal poeta come troppo serio e impegnato.
I tre erano stati tutti allievi, d'Annunzio prima e i due fratelli della Scala poi, del Convitto Nazionale Cicognini di Prato.

d'Annunzio frequenta poi lo zio Arturo durante il soggiorno del poeta a Nettuno.








Il Convitto Cicognini di Prato



La fase Gesuitica

Il Collegio venne fondato dalla Compagnia di Gesù, meglio conosciuti come Gesuiti, sui luoghi della antica Badia di Grignano e su disegno dell’architetto milanese Giovan Battista Origoni L'atrio e il portale d'ingresso furono costruiti dall'architetto pratese Giuseppe Valentini. Al suo interno sono degni di nota il refettorio (affrescato da Giacinto Fabbroni nel 1754 con scene tratte dalla Bibbia), la cappella settecentesca (con interessanti arredi lignei) ed il teatro (inizialmente chiesetta del Convitto, adibito all'uso attuale durante il periodo di secolarizzazione dell'istituto: i suoi affreschi vennero rifatti durante l'epoca fascista)La fondazione fu resa possibile da un cospicuo lascito a cui avevano contribuito il sacerdote F. Fazzi, il nobile L. Niccolai e soprattutto il Canonico F. Cicognini, al quale è appunto legato il nome del Convitto. Fra il 1692 e il 1715, il Collegio-Seminario svolse la sua attività nelle Case Nove in piazza Mercatale perché, per la lentezza dei lavori, i locali del Cicognini non erano ancora utilizzabili. Tuttavia nel 1715 i Gesuiti trasferirono definitivamente tutte le attività del Collegio nella sede attuale, sebbene i lavori non fossero ancora ultimati, che poi in realtà si protrassero per buona parte del XVIII sec. Nel 1737 morì il Granduca Gian Gastone e con lui si estinse la dinastia medicea. La pace di Vienna (1738) pose fine alla guerra di successione polacca e Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa d’Austria ottenne la corona granducale di Toscana. Il nuovo Granduca venne a Firenze il 30 maggio del 1739 e vi rimase solo per 3 mesi. Le responsabilità di governo vennero affidate nelle mani di alcuni primi ministri tra cui il Rucellai, il quale amministrò per conto degli Asburgo Lorena in maniera estremamente efficace. Alla morte di Francesco Stefano salì sul trono granducale nel 1765 Pietro Leopoldo figlio dello stesso Francesco Stefano e di Maria Teresa; con lui iniziarono quelle grandi riforme che posero la piccola Toscana, almeno in alcuni campi, all’avanguardia in Europa. Nel 1773 papa Clemente XIV abolì la compagnia di Gesù con l’Enciclica Dominus ac Redemptor noster e il Granduca pose il Collegio sotto la propria tutela, che prese il nome di Imperiale e Reale Collegio.




Imperiale e Reale Collegio 1773-1862
La dinastia Lorenese dette grande impulso alle attività delle Collegio, perché di qui usciva buona parte della classe dirigente del Granducato. Pietro Leopoldo affidò la gestione ai sacerdoti secolari, in conseguenza della soppressione della Compagnia di Gesù, i quali si occuparono, sia dell’amministrazione, sia dell’organizzazione degli studi. Il governo granducale cedette poi al Collegio la Badia delle Sacca per farne la residenza estiva dei collegiali.
L’occupazione francese (1799-1812)
Durante le campagne in Italia di Napoleone, le truppe francesi occuparono la Toscana nel 1799 nei mesi Marzo Aprile. In tale occasione alcune aule del Cicognini vennero adibite a magazzini militari e gli stemmi e i simboli granducali rimossi. Durante l’epoca napoleonica non si ebbero significativi mutamenti. Tuttavia nel 1812 venne reso obbligatorio l’uso della lingua francese nell’amministrazione contabile e il suo insegnamento nella didattica.Dopo la caduta definitiva di Napoleone (1814), Pio VII ripristinò la Compagnia di Gesù la quale cercò di rientrare in possesso di tutti gli istituti e dei beni da essa posseduti prima della soppressione, adottando spesso metodi più o meno leciti (1813-15).La morte prematura del Rettore Niccola Bertini, sospetta di avvelenamento, venne collegata ai tentativi da parte dei Gesuiti di rimettere piede nell’Istituto, ma tale tentativo risultò del tutto vano.I sacerdoti secolari continuarono ad amministrare il Collegio fino al 1859.Con la II guerra d’Indipendenza (1859) il Regno di Sardegna, grazie all’alleanza con la Francia sconfisse l’Austria e la Toscana con un plebiscito (12-13 maggio 1860) si unì al Piemonte e alle altre regioni dell’Italia settentrionale, dando così il via all’unificazione d’Italia. Il Granduca Leopoldo II fu costretto all’esilio.




Reale Collegio 1862-1882
Con un regio decreto del 23\10\1862, assunse il nome di Reale Collegio Convitto e da questa data fu nominato Rettore Giuseppe Merzario, che riformò l’ordinamento didattico e amministrativo del Collegio, e che lo inserì nell’ordinamento scolastico nazionale. Durante il suo rettorato fu convittore Gabriele D’Annunzio.




Regio Convitto Nazionale 1882-1950
La mutazione in Convitto Nazionale con un Regio Decreto del 29\7\1882 non modificò il quadro amministrativo ed educativo, conferitogli all’indomani dell’unità d’Italia. In questo periodo venne portato a termine il completamento dell'edificio, che tuttavia continuò a subire trasformazioni fino alla prima metà del 1900.
Il Secondo Conflitto Mondiale
Nel Dicembre 1943 alcuni locali del convitto furono occupati dalle truppe tedesche. Il 7 Marzo 1944 per sicurezza il convitto fu trasferito a Firenze ospite dei frati Barnabiti nella loro sede alla Querce. I Tedeschi occuparono il collegio fino al 14 Aprile 1944. Durante il conflitto il collegio subì più volte dei bombardamenti; quello particolarmente grave fu nel Luglio del 1944: molte schegge avevano colpito l'edificio provocando rotture ai vetri e danneggiandovene varie parti; in particolar modo il locale dell'infermeria era stato completamente sventrato. Dopo la liberazione di Prato, avvenuta nel Settembre dello stesso anno, il convitto fu occupato interamente dagli ufficiali e dai soldati Alleati. La requisizione del convitto da parte delle truppe Alleate terminò solo il 17 Giugno 1945. Da questo momento il collegio incominciò a riprendere le proprie normali attività.




Convitto Nazionale Cicognini, dal 1950 ad oggi
Dopo la proclamazione della repubblica con il referendum del 2\06\1946, nel 1950 assunse il titolo di Convitto Nazionale che conserva anche al momento attuale.






dal sito del Convitto Nazionale Cicognini




Fino all'Unità d'Italia, la direzione fu affidata a esponenti del clero locale, cui apparteneva anche la maggior parte dei docenti. Particolare spicco ebbe il magistero di Atto Vannucci, che restò al Cicognini fino al 1848. Successivamente il governo guidato da Urbano Rattazzi nel 1862 nominò rettore Girolamo Bobone, al posto del sacerdote Giovanni Pierallini.
Nell'ottobre di quello stesso anno la carica passò a Giuseppe Merzario, intellettuale, educatore, patriota e uomo politico di idee progressiste. Il blocco politico-sociale conservatore, che trovava i suoi punti di forza in alcuni esponenti del clericalismo e del mondo culturale fiorentino di matrice cattolica (Cesare Guasti, Nicolò Tommaseo), si oppose apertamente all'operato di Merzario, finché questi rassegnò polemicamente le dimissioni.
Negli anni 18751881, in cui fu rettore e preside Flaminio Del Seppia, fu convittore Gabriele D'Annunzio, che mostrò particolare stima per l'ex-garibaldino Tito Zucconi, suo insegnante di letteratura inglese.
Nel 1882 il Cicognini divenne statale. Alla sua guida il ministero assegnò il letterato ed educatore Ulisse Poggi, che vantava trascorsi patriottici quarantotteschi. Malgrado tensioni con alcuni insegnanti e studenti, Poggi restò in carica fino al pensionamento, avvenuto nel 1889. A succedergli fu il latinista Angelo Tosi, che restò in carica fino all'estate del 1899, in tempo per organizzare le celebrazioni per il bicentenario dell'istituto, in occasione del quale venne inaugurato un busto di Umberto I, opera del giovane scultore pratese Oreste Chilleri.
Dal settembre del 1899 fino al 1918 fu preside Paolo Giorgi, fautore di un'intensa opera di propaganda nazionalista e interventista che portò anche a violente tensioni con il contesto sociale cittadino, negli anni della prima guerra mondiale. Nei primi anni del nuovo secolo furono insegnanti del Cicognini l'italianista livornese Ubaldo Angeli, amico di Severino Ferrari e Fabio Fedi, insegnante di lettere al ginnasio e acceso sostenitore della laicità dell'istruzione, oltre che consigliere comunale.
Dal dopoguerra il Cicognini da Regio Collegio tornò ad essere Convitto Nazionale; i Rettori che si sono succeduti hanno continuato la tradizione (Gentileschi, Mati, D'Ascenzio, Caiazza, Pistone) dalla fine degli anni '90 è iniziata una profonda innovazione metodologica e tecnologica (Rettore Enrico Fadda) ed è stata nominata alla guida del Cicognini la prima donna (Anna Grazia Greco). Dal 2004 al 2007 (sotto la Direzione di Daniele Santagati) sono stati eseguiti imponenti lavori di messa a norma previsti dalla legge 626/94. Oggi Rettore del Cicognini è Daniele Santagati rientrato definitivamente a Prato dopo l'esperienza di Rettore del C.Colombo di Genova.
Per l'elenco completo dei Rettori visita il sito http://www.convitto-cicognini.it/




A seguito della riforma Gentile, nel 1925 la presidenza del liceo venne separata dal rettorato del convitto e fu affidata al pratese Alfredo Guarducci, professore di matematica e già sindaco della città. Il liceo classico fu reso del tutto autonomo rispetto al convitto, pur restando per alcuni decenni nella medesima sede.
Negli anni del primo dopoguerra e del fascismo si segnalarono, tra i professori, Sebastiano Nicastro, il latinista Vittorio Ragazzini e il letterato Renzo Simi, mentre la presidenza fu affidata allo storico e italianista Giuseppe Fatini, noto soprattutto per i suoi studi ariosteschi e per un’accurata monografia dedicata a Gabriele D’Annunzio convittore del Cicognini.
Nella seconda metà del secolo operarono nel liceo il classicista Cesare Grassi e Agostino Ammannati, che per alcuni anni curò l’allestimento di spettacoli nel teatrino del Cicognini col gruppo filodrammatico del liceo, oltre a collaborare con don Lorenzo Milani. L’attività teatrale venne ripresa più recentemente da altri insegnanti.
Nel 1972 il liceo classico statale si trasferì nel nuovo edificio di via Baldanzi 16, dove è tuttora. Venne trasferito nella nuova sede fuori dal centro il ricco patrimonio storico-culturale custodito, comprendente l'"Archivio storico" (documenti e verbali scolastici dal 1870 al 1972, compresi i registri dei voti relativi a studenti divenuti illustri, da Gabriele D’Annunzio a Curzio Malaparte, da Mario Monicelli a Tommaso Landolfi), il "Museo di fisica" (riordinato e catalogato scientificamente) e il "Museo di storia naturale" (con le collezioni ornitologica e mineralogica) e una Biblioteca di oltre 10.000 volumi con la raccolta della Antologia di Vieusseux.
Negli anni '90 è stato istituito nuovamente il corso di Liceo Classico Statale all'interno del Convitto e la presidenza è stata nuovamente assunta dal Rettore. Il Liceo Classico annesso al Convitto Cicognini è tornato in pochi anni agli antichi splendori grazie all'opera di eccellenti docenti, distinguendosi come uno dei migliori licei classici toscani.




martedì 5 febbraio 2008

Arturo della Scala - Comitato Nazionale di Liberazione

Documento 1
Lettera di Scoccimarro a gen. Richmond, con allegati
(Istituto Storico della Resistenza in Toscana, Fondo Medici-Tornaquinci)
da: www.stm.unipi.it:81/stmstragi/Processi/documento1.doc

Ministero dell’Italia Occupata
IL MINISTRO

Roma ,1 giugno 1945

Agli Ill.mi Signori
BRIG.GEN.RICHMOND U.S.ARMY jUDGE ADVOCATE
COL. PASSINGHAM A. A. G. A. F. H. Q.


Nella mia qualità di membro del Governo Italiano e capo del Ministero, presso cui è sorta la Commissione Centrale per i crimini di guerra, esprimo il più vivo compiacimento per le proposte da Loro Signori formulate al Giudice dott. Piero Berretta, segretario della Commissione Centrale, di cui all’unito allegato, e che per parte italiana dichiaro di accettare integralmente.
Confermo che la Commissione centrale italiana per i crimini di guerra assume la piena responsabilità per l’accertamento delle atrocità commesse in Italia dai tedeschi e dalle bande fasciste al loro servizio contro la popolazione civile italiana; di conseguenza chiedo che le Autorità Alleate si compiacciano di trasmettere a detta Commissione Centrale la documentazione degli accertamenti in loro possesso relativi a tali crimini, nonché le denunzie e semplici notizie di essi, sulla base delle quali la Commissione Centrale espleterà una completa istruttoria. Ringrazio per l’opera di collaborazione e assistenza che le Autorità Alleate si dichiarano disposte a continuare per il migliore accertamento delle atrocità, di cui tedeschi e fascisti si son resi responsabili in Italia; ed in particolare per l’offerta che un ufficiale dello Special Investigation Branch disimpegni funzioni di collegamento con la Commissione Centrale per l’identificazione dei singoli o delle unità tedesche responsabili dei crimini. Resto in attesa di una cortese conferma scritta. Con i più distinti doveri.
IL MINISTRO DELL’ITALIA OCCUPATA
(dott. Mauro Scoccimarro)

Ministero dell’Italia Occupata
IL CAPO DI GABINETTO
Roma, 1 giugno 1945
ALLEGATO N. 1

La Commissione Centrale per i crimini di guerra è stata istituita con Decreto Ministeriale presso il Ministero dell’Italia Occupata al fine di accertare le atrocità, i saccheggi, incendi, deportazioni, uccisioni e altri delitti compiuti dai tedeschi e dai fascisti dopo il 25 luglio 1943 in danno della popolazione civile italiana.
Attualmente la Commissione è così composta: S.E. Aldobrando Medici Tornaquinci, presidente, sottosegretario di stato. S.E. Saverio Brigante, presidente di sezione della Cassazione. Prof. Concetto Marchesi, rettore dell’Università di Padova. Dott. Antonio Cottafavi, primo segretario di Legazione, del Ministero degli Affari Esteri. Dott. Francesco Ferrante, consigliere di II classe ,del Ministero dell’Interno. Ten. Col. Luigi Sormanti, del Ministero della Guerra. Avv. Arturo Della Scala, in rappresentanza del Comitato Centrale di Liberazione Nazionale. Prof. Attilio Ascarelli, direttore della scuola di polizia scientifica. Avv. Claudio Matteini, giornalista. Dott. Piero Berretta, giudice di Tribunale. Funziona da segretario il Giudice dott. Piero Berretta. E’ in corso l’integrazione della Commissione Centrale con la nomina dei rappresentanti del Ministero di Grazia e Giustizia nella persona di S.E. Alfredo Iannitti Piromallo, presidente di sezione della Cassazione, dell’Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo nella persona del giudice Dott. Rubino Italo e del contenzioso Diplomatico presso il Ministero degli Affari Esteri nella persona del Prof. Perassi. A seguito della deliberazione della Commissione Centrale in data 16 marzo 1945 si disponeva la costituzione in ogni provincia di una Commissione di 3 membri e cioè dei rappresentanti della Prefettura, del Tribunale Civile e Penale ordinario, e del Comitato di Liberazione Nazionale al fine di coadiuvare e facilitare l’opera della Commissione Centrale nell’accertamento dei crimini commessi nelle rispettive Provincie. La fase organizzativa di queste Commissioni periferiche, stante la liberazione dell’Alta Italia avvenuta solo di recente, non è ancora compiuta. Appena essa sarà espletata, sarà nostra premura comunicare alle autorità alleate il prospetto generale di tali Commissioni provinciali con il nome dei componenti e la sede di esse.

D’ordine del Ministro IL CAPO DI GABINETTO
Il CNL